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Mettere in scena la propria vita
Sentiamo spesso parlare di Copione, di vivere nel Copione. Quello di cui parliamo oggi è quello disegnato da Claude Steiner, allievo di Eric Berne, fondatore dell'Analisi Transazionale.
È bene precisare che non nasciamo geneticamente nel copione, ma che questo è frutto di una decisione che scaturisce da una serie di deliberazioni che effettuiamo quando siamo bambini. Il copione è generato dalla cultura in cui siamo immersi mediato dalle nostre interpretazioni.
Lo “scriviamo” essenzialmente per tre motivi:
- L’essere umano non nasce geneticamente completo ed ha bisogno di figure di accudimento per il suo sostentamento e cura, per sopravvivere;
- Il nostro temperamento e la nostra individualità deve mediarsi con l’altro che magari non è accogliente verso la nostra diversità, ma di cui abbiamo bisogno;
- Abbiamo bisogni reali o presunti che vogliamo soddisfare e tramite tentativi con i nostri caregiver strutturiamo i nostri comportamenti, standardizzando quei comportamenti che meglio hanno risposto ai nostri bisogni.
Poco importa se il comportamento in questione è stato percepito come idoneo quando avevamo 4-5 anni e la nostra corteccia prefrontale non era ancora formata, gran parte delle persone non mette più in discussione i propri comportamenti per tutta la vita, anche se questo è causa di grandi sofferenze. Il copione lo scriviamo nell'infanzia e lo perfezioniamo prima dell'adolescenza.
Vivere nel copione non è né sbagliato, né patologico. È una riduzione della realtà volta ad aumentarne la prevedibilità.
Vivere nel copione non è semplificare la realtà, ma ridurre gli ambiti di libertà decisionale, ridurre le possibilità che nel corso della vita sempre esistono.
Agendo sulle deliberazioni che costituiscono la decisione del copione si mette in crisi la decisione e, anche senza un’analisi del passato, si possono aprire stati comportamentali diversi e di maggior benessere.
Facciamo di tutto nella vita, quotidianamente, per riconfermarci la decisione presa ed evitare di muoverci fuori dalla prevedibilità, con giochi psicologici inconsapevoli. Facciamo di tutto per mantenerci nel copione.
Ogni nostra azione porta ad un tornaconto di copione che in qualche modo ci evita di prenderci la responsabilità della nostra esistenza, ci riconferma la nostra Teoria della Mente.
Non vivo la vita che vorrei perché qualcuno me lo impedisce (tornaconto: uccidi).
Non vivo la vita che vorrei perché mi dovrebbe essere data (tornaconto: impazzisci)
Quando ci affidiamo alla casualità e abbandoniamo la lettura della realtà come un processo, affidiamo la nostra vita alla pazzia. Non credo che quello che penso, quello che sento e quello che dico abbia un impatto sulla realtà. Tutto è demandato alla casualità.
Non vivo la vita che vorrei perché le cose non vanno come io penso (tornaconto: ucciditi)
La vita che vorrei non mi viene data per come io l’ho cristallizzata. Non voglio ritenere che sono il produttore di una tesi sempre parziale della realtà ma mi voglio ritenere il creatore di una tesi totalizzante.
Non vivo la vita che vorrei perché non ho trovato qualcuno che mi ama (tornaconto: rimanere soli)
La persona da amare e che mi possa amare non esiste nella concezione di chi ha il tornaconto “rimanere soli” perché si attribuisce all’altro il compito di riempire il proprio buco esistenziale mentre l’altro è e rimarrà sempre “alter”
Non vivo la vita che vorrei perché ho organizzato la mia esistenza affinché sia comprensibile dagli altri, allontanandomi da ciò che desidero. (tornaconto: fallisci)
A seconda del bisogno contingente, della fase della vita che stiamo vivendo, tiriamo fuori dal cilindro il tornaconto più adatto. Li agiamo tutti.
Il copione e tutti i meccanismi di mantenimento che mettiamo in atto (giochi, racket, simbiosi), sebbene inconsapevoli, sono un modo per poter mantenere una autopoiesi: una conoscenza di sé, degli altri, del mondo che si mantiene stabile anche quando facciamo altre esperienze.
Il cervello non è interessato alla nostra evoluzione. Il cervello è interessato a mantenerci in vita e per questo punta a farci prendere decisioni veloci già sperimentate. La nostra evoluzione è una nostra decisione e comporta un incomodo, un disagio, una sofferenza.
La crescita personale, a mio modo di vedere, è il più bel viaggio che si possa compiere nella propria esistenza, il viaggio che porta alla significazione del proprio passaggio su questa terra ma la fatica che comporta la rende una scelta non per tutti.
Il counseling aiuta a consapevolizzare i comportamenti osservabili che ci fanno soffrire e gli automatismi.
Il counseling ci aiuta a fermarci e rendere possibile qualcosa di diverso nella nostra vita, qualcosa nella direzione del nostro significato personale, della nostra unicità.
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