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Morte e rinascita

Ogni fase della nostra vita comporta una morte ed una rinascita a qualcosa di nuovo. Ogni gradino di consapevolezza è una morte e una rinascita. La vita che si alterna alla morte per poi tornare vita è qualcosa che accade ogni momento, ogni giorno. Nel nostro corpo, parti di noi “devono morire” per fare spazio a parti di noi che “devono nascere” in ogni istante.

La morte rimane comunque, sempre, un tabù per molti. La morte non viene considerata come una parte della vita, ma come qualcosa da cui fuggire come struzzi con la testa ben piantata sotto la sabbia.

Il lutto continua ad esistere nella realtà, sia per la perdita dei nostri cari che per la perdita di una identità che ci ha magari accompagnati lungamente, ma non lo rappresentiamo più questo lutto. Facciamo come se non esistesse.

Nessuno più veste di nero, nessuno più considera i tempi necessari a questa fase.

Ci serve una mappa, una mappa che ci indichi una destinazione finale (la morte) e che sia costruita a monte, 

Una mappa, nella vita, è una visione; è un prerequisito per vivere una vita intensamente. In questa mappa, che ognuno deve costruirsi ed avere chiara in mente, la morte è il punto di partenza, il cambio di paradigma da cui partire, la visione finale senza la quale nessuna piccola o grande impresa che sia, può avere successo. Solo dalla visione finale, quella che guarda oltre ad ogni orizzonte possibile, si possono mettere in pista, a ritroso, le tattiche di raggiungimento.

Tre gradini

L’istinto ci tiene al livello della sopravvivenza, al livello della nostra lotta per la sopravvivenza, ci tiene ad un livello in cui c’è la malattia, la paura e la morte. É il piano dell'evitamento. Il livello in cui non vogliamo prenderci dei rischi e in cui siamo così concentrati sul “difenderci” che non lasciamo entrare neppure la vita.

Se dovessimo paragonare questa fase della vita ad un frutto potremmo dire che in noi c’è la promessa di un frutto dolce, morbido e sugoso, ma siamo ancora acerbi, duri e verdi.  La vita ha i suoi tempi e la maturazione avviene per fattori culturali e genetici, ma anche per l'ambiente in cui siamo immersi.  L'ambiente in cui immergerci è l'unico vero libero arbitrio che possediamo, se non da bambini, quando diventiamo adulti.

La vita si muove sull’asse delle emozioni, dei valori. Su questo piano, quello del livello della vita, ci facciamo delle domande, cerchiamo un significato per la nostra esistenza, per le cose che ci sono accadute o che ci stanno accadendo e cerchiamo di darci una meta. La grandezza della meta è individuale, ma ha molto a che fare con le domande che ci siamo posti, ha molto a che fare con la capacità che abbiamo di assumerci la parte di responsabilità di quel che è accaduto, senza dare ad altri la colpa. 

La meta che ci diamo sarà influenzata anche dalla capacità di giudicare quanto le nostre aspettative ci abbiano fatto distorcere i fatti.

Una scelta individuale

Sono infatti questi elementi: la capacità di riconoscere quanto della sofferenza vissuta sia da imputare alle aspettative che avevamo, con o senza diritti, e quanto alla capacità (o incapacità) di assumerci la responsabilità di come abbiamo reagito agli eventi e soprattutto di come continuiamo a farlo, che ci può aprire un passaggio, un varco, verso la visione della nostra vita, la visione creativa e realizzativa, la visione che da un senso ad ogni cosa e che ci rende liberi. Questo è l’asse della scelta, delle decisioni. Qui non siamo più condotti, né dall’istinto, né dagli automatismi, né dal bisogno di difenderci da, a volte inesistenti, attacchi.

Sotto questa nuova luce, in questo livello evolutivo, il significato di un avvenimento diventa il significato di tanti avvenimenti e quindi diventa SENSO. La meta diventa un processo, diventa la meta più grande a cui un essere umano può anelare: la liberazione.

L’istinto (il nostro livello della sopravvivenza) ci porta ad essere territoriali e a difendere il nostro territorio. Siamo organizzati attorno a capo-branco che diventano leader (capo, guida, guru, esponenti di partiti o associazioni, etc.). Dio è il capo-branco sommo che copre i vuoti di potere nelle aggregazioni sociali.

Più siamo fragili, meno abbiamo chiara la nostra “mappa” e più è possibile, anche per un solo individuo, prendere il nostro governo.

Due leve che ci muovono

L’essere umano è mosso da due leve: piacere e dolore. Cerchiamo esperienze piacevoli ed evitiamo quelle dolorose. É così per tutti. La paura ci fa evitare il dolore ed è quindi necessaria, ma se sono in preda ad un’eccessiva paura del dolore, allora assumo comportamenti altamente disfunzionali che mi costringono a vivere in un limbo del tipo “non vedo | non sento | non parlo”, una sorta di evitamento.

Questa paura disfunzionale si esprime in vari modi. Le dipendenze sono un modo di fuggire, di evitare il dolore. L’isolamento è un altro modo. Il conformarci all’identità di un gruppo, che annulla la ricerca del nostro valore personale, della nostra unicità, della nostra creatività, è un altro modo. É ancora una volta l’istinto, il cervello rettile che mette in pista la strategia del gregge,

C’è un tempo in cui questi comportamenti disfunzionali ci sono stati indispensabili, non potevamo fare altrimenti, non avevamo altre vie. C’è un tempo, in cui dobbiamo riconoscere che le condizioni attorno a noi sono cambiate e che abbiamo altre soluzioni, tra le quali, anche, sentire il dolore.

L’essere umano è fatto per tollerare il dolore mentale e non esiste cambiamento senza passare attraverso il dolore mentale. Non esiste cambiamento senza morire a un vecchio "io", per rinascere ad un nuovo "io".

Viviamo la complessità

La società in cui viviamo è molto complessa, non esiste "bianco o nero" e noi non abbiamo il controllo su quasi nulla. La vita ci sorprende in continuazione con colpi di scena, a volte meravigliosi a volte terrificanti. Accettare che tutto accade per una ragione, anche se a noi sconosciuta e accettare che non possiamo controllare o proteggere la vita degli altri, è un passo avanti.

Ricapitolando, possiamo rappresentare i nostri livelli evolutivi su tre piani che incrociano processi, mezzi, tappe e conquiste.

Gli assi

1° Istinto/evitamento (morte, paura, malattia, sopravvivenza)

2° incontro/emozioni-valori (vita, domande, significato, meta)

3° mente/decisioni (passaggio, visione, senso, liberazione)

i Processi:

morte (1°) -> vita (2°) -> passaggio (3°) -> morte (1°) -> vita (2°) -> passaggio (3°) etc.

i Mezzi a disposizione:

paura (1°) -> domande che ci poniamo (2°) -> visione (3°) etc

Le Tappe

Malattia (1°) -> significato che diamo alle cose (2°) -> senso che troviamo (3°) etc

Le conquiste

Sopravvivenza (1°) -> meta (2°) -> Liberazione (3°)  e anche per le conquiste, la magia è che non è mai finita, se siamo curiosi, c'è sempre un nuovo gradino che ci apre ad un paesaggio sempre più vasto.

Re-agire 

A cos’altro dobbiamo morire? Dobbiamo morire alla re-attività. L’essenza del processo di reattività è saturare sé stessi con una informazione del passato che non ci consente di lasciarne entrare di nuove.

Il passato è così forte che non giungo mai ad un tempo presente e così non ci sarà mai un futuro (come un fetore infernale che non ci fa apprezzare lo stare con una persona che pure avevamo molta voglia di vedere). L’evento non si consuma, non se ne va, non muore, non lascia spazio a nuove informazioni. Questo è l’essenza del processo di reattività, del re-agire.

Come si fa morire questo processo per nascere al nuovo? Spostando volontariamente l’attenzione sull’obbiettivo che perseguo nella relazione. Questo mirare più in alto è un piccolo ma fondamentale passaggio che permette alla reattività – che comunque scatta – di passare gradualmente alla pro-attività.

È come se oltre ad un primo livello di interazione si generasse un secondo livello, poi un terzo, e così via. Fino ad acquisire una nuova abitudine ed abbandonare il re-agire.

Cosa serve fare in pratica?

  • Osserviamo i comportamenti che generano “re-azione”
  • Prepariamoci ad un’azione diversa, senza (re)
  • Non farsi più ferire dai toni o comportamenti

Creiamo un vuoto -> pieno -> vuoto -> pieno -> morte -> rinascita

Impariamo a morire e avremo infinite rinascite e una vita piena.

Diamo un senso al nostro incedere e benediremo ogni sofferenza.

Ringrazio Claudio Luraschi per il corso aziendale a cui ho partecipato nel 2012 sul vivere e sul morire, percorso che ha contribuito a guidare i mei passi fino a qui.

Questo articolo descrive i punti per me più salienti dei suoi insegnamenti e mi auguro che possano in qualche modo ispirare anche voi.