No, non siamo nati per soffrire. Siamo nati per cambiare e la sofferenza è lo stimolo che la natura...
Cambiare la propria storia: il potere trasformativo del racconto di sé
1. Introduzione: siamo le storie che ci raccontiamo
Ogni persona che si rivolge a un mentore, un coach o un counsellor porta con sé non solo problemi o obiettivi, ma una narrazione di sé.
“Non sono portato per…”, “sono fatto così”, “mi è sempre successo che…”, “non ce la faccio mai” — sono frasi apparentemente neutre, ma in realtà costituiscono lo scheletro invisibile della nostra identità.
In questo articolo esploriamo come la relazione d’aiuto può lavorare proprio sulla storia che la persona si racconta — non per negarla, ma per aprire nuove possibilità di significato e azione. Perché, come diceva Paul Watzlawick, “il cambiamento è spesso una questione di prospettiva”.
2. La narrazione come struttura dell’identità
Non ci limitiamo a vivere esperienze: le organizziamo in storie. Ricordi, eventi, relazioni, emozioni: tutto viene cucito insieme in un filo narrativo.
Questo racconto ha una sua coerenza interna, ma spesso è stato costruito in risposta al dolore, al giudizio o alla sopravvivenza emotiva.
“Sono cresciuta facendo sempre la brava”,
“Mi sono dovuto arrangiare da solo fin da piccolo”,
“Ho sempre fallito nei momenti decisivi”…
Sono narrazioni che proteggono, ma a volte diventano anche gabbie.
3. Identità narrativa: una visione sistemica e dinamica
Il concetto di identità narrativa ci ricorda che:
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L’identità non è fissa, ma plasmabile.
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Le storie che raccontiamo su di noi condizionano le nostre scelte future.
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Ogni persona è fatta di molte storie possibili: alcune dominanti, altre dimenticate, altre ancora da scrivere.
La relazione d’aiuto diventa allora un luogo in cui esplorare, disfare e riscrivere queste narrazioni.
4. Il ruolo del coach, mentore o counsellor: testimone e co-autore
Il professionista dell’aiuto non scrive una storia al posto dell’altro, ma:
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Aiuta a vedere la trama nascosta sotto gli eventi.
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Restituisce possibilità narrative nuove.
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Domanda dove sembrava esserci solo certezza.
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Accoglie la complessità dell’identità, dando dignità a tutte le parti.
In questo lavoro, la persona passa da essere personaggio dentro una storia a narratore consapevole della propria vita.
5. Tecniche e strumenti per lavorare con la narrazione di sé
Ecco alcune pratiche utili che molti professionisti già usano intuitivamente, e che possono essere rafforzate:
• Il genogramma narrativo
Non solo ricostruire eventi familiari, ma dare significato ai ruoli, ai “miti familiari”, ai copioni impliciti che si tramandano.
• Il diario delle storie ricorrenti
Invitare il cliente a scrivere:
“Qual è la storia che racconto più spesso su me stesso?”
“Come finisce sempre?”
“Chi ero io in quella storia?”
“Chi potrei diventare se riscrivessi il finale?”
• La mappa delle versioni di sé
Un esercizio potente è visualizzare (anche graficamente):
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il Sé dominante
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il Sé nascosto
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il Sé desiderato
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il Sé “che non è mai esistito ma potrebbe”
Questo stimola la plurivocità dell’identità.
• Tecniche di externalizzazione (dalla Narrative Therapy)
Esempio:
Invece di dire “Sono una persona ansiosa”,
Dire “L’ansia viene a trovarmi spesso, ma non è tutta me”.
Distinguere la persona dal problema restituisce potere e libertà.
6. Quando una storia cambia, cambia anche la realtà
Una nuova narrazione non è solo un pensiero diverso: è una nuova lente attraverso cui vivere, scegliere, creare relazioni.
Ecco un esempio reale, anonimo:
Chiara, 29 anni, mentee in un percorso di coaching vocazionale:
“Pensavo di essere sbagliata perché ho cambiato tanti lavori. Poi, nel percorso, ho visto che quella stessa cosa può raccontarsi diversamente: sono una persona che ha cercato il suo posto con coraggio. È una storia completamente diversa. Ma sono sempre io.”
7. I rischi delle storie che non cambiano
Una narrazione cristallizzata può:
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bloccare il cambiamento (“tanto io sono fatto così”)
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alimentare lo stigma interno (“non merito di più”)
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rinforzare ruoli subalterni (“sono quella che si adatta sempre”)
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mantenere attivi sensi di colpa o vergogna
Spesso, il primo passo per uscirne è mettere in dubbio la trama dominante.
Domande come:
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Chi ti ha raccontato per primo questa storia?
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Cosa succederebbe se smettessi di crederci?
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Qual è una contro-storia che ha già cercato di emergere nella tua vita, ma hai ignorato?
8. Conclusione: scriversi di nuovo è possibile
Chi intraprende un percorso di cambiamento porta con sé un manoscritto incompleto.
Il professionista dell’aiuto non ha la penna in mano — ma illumina margini, suggerisce titoli, mostra passaggi dimenticati.
Ogni persona può riscrivere il proprio copione.
Non per negare ciò che è stato, ma per onorarlo trasformandolo.
“Cambiare vita spesso non significa cambiare tutto.
A volte basta cambiare la storia che ci raccontiamo su quella vita.”Anche le aziende possono cambiare il proprio storytelling e la cultura aziendale.