In Italia, - e forse anche altrove - ogni volta che pronunciamo parole come giustizia sociale, equità, diritti civili, scatta subiro un'equivalenza: appartenenza politica.
È come se certi valori fossero stati marchiati a fuoco da una parte politica, trasformati in bandiere da difendere o da attaccare.
Il problema è che quando un valore diventa proprietà di parte, la discussione si impoverisce. Non parliamo più del cosa e del come, ma del chi: chi ha diritto di rappresentare quel valore, chi lo possiede, chi ne può parlare. Il dialogo si riduce a uno schema binario — o sei con me, o sei contro di me.
Ma davvero vogliamo ridurre la complessità umana a un cartellino di appartenenza?
Marianella Sclavi, nel suo libro Arte di ascoltare e mondi possibili, ci ricorda che ascoltare non significa “annusare da che parte sta l’altro”. Ascoltare vuol dire sospendere il giudizio e lasciarsi contaminare dall’inaspettato.
Lei parla di mondi possibili: prospettive che non sono né giuste né sbagliate, ma diverse, utili per arricchire la nostra comprensione.
Se applichiamo questa lente al dibattito politico e sociale, scopriamo che “giustizia sociale” non è un’etichetta da sventolare, ma un mondo possibile da esplorare insieme. Così come lo è l’idea di “equità” o di “diritti”.
Il punto non è stabilire chi “ha ragione”, ma quale pezzo di realtà ci sta mostrando l’altro che noi, da soli, non vediamo.
Se riportiamo i valori al livello universale, diventano un terreno comune. Chi non desidera vivere in una società più giusta? Chi non vuole dignità e sicurezza per sé e per i propri figli?
La vera differenza sta nelle strategie: come tradurre quei valori in pratiche, norme, politiche.
E qui l’ascolto attivo diventa decisivo: se ci arrocchiamo nella nostra visione, i valori diventano armi. Se invece ci apriamo al dialogo, scopriamo che dietro ogni posizione c’è un pezzo di mondo che non conoscevamo.
Come dice Mariella Sclavi, “il conflitto è una risorsa”. È il terreno fertile dove far nascere nuove soluzioni, se sappiamo ascoltare senza ridurre tutto a una dicotomia sterile.
Nel mentoring questo è evidente: quando un mentee racconta la sua visione, non si tratta di convincerlo che il mio approccio sia “giusto” e il suo “sbagliato”. Si tratta di camminare insieme dentro mondi possibili, di costruire ponti.
Un valore come la giustizia, se riportato alla sua radice umana, smette di essere una bandiera e diventa uno spazio condiviso.
E qui torniamo al punto di partenza: i valori non dovrebbero avere padroni, ma custodi.
Custodire un valore significa renderlo disponibile, metterlo in dialogo, proteggerlo dall’uso divisivo.
Forse il passo successivo, come società e come individui, non è schierarsi da una parte o dall’altra, ma imparare a riconoscere che certi valori sono radici comuni.
Se impariamo ad ascoltare davvero, scopriremo che non ci sono solo due mondi contrapposti, ma una costellazione di mondi possibili, tutti abitabili, tutti utili per costruire una realtà più ricca.
Perché crescere — come persone e come organizzazioni — significa proprio questo: uscire dal recinto della dicotomia e imparare a custodire i valori con l'altro.
📚 Per approfondire:
Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili;
Jonathan Haidt, The Righteous Mind.